In Italia solo 12 donne su 1000 si laureano in discipline STEM

di Enrico Cremonese

Nel contesto della quarta edizione dello StartupItalia Open Summit (#SIOS19), l’evento di riferimento per startupper e investitori, a metà dicembre sono stati presentati dati che la redazione ha rielaborato a partire dalle seguenti fonti: AlmaLaurea, il portale che fa da ponte tra l’Università e il mondo del lavoro, Eurostat l’Ufficio statistico dell Commissione Europea e The Lancet, rivista scientifica inglese. La fotografia ha approfondito le differenze di genere tra i laureati in discipline STEM. Ha contribuito all’analisi Valore D la prima associazione di imprese in Italia che da dieci anni si impegna per l’equilibrio di genere e per una cultura inclusiva nelle organizzazioni e nel nostro Paese.

Dalla ricerca emerge che nel 2018 hanno conseguito la laurea triennale in discipline STEM 16.848 ragazze e 26.202 ragazzi, mentre hanno ottenuto un titolo magistrale 11.456 donne e 17.623 uomini. In totale, quindi nel 2018 si sono laureati in discipline STEM 28.304 ragazze e 43.825 ragazzi.

Rispetto a 15 anni fa, scopriamo che la situazione è progressivamente migliorata: le donne che si laureano in discipline STEM alla laurea triennale oggi sono molte di più di 15 anni fa: 16.848 contro 3.398 del 2004. Una crescita più accelerata rispetto a quella che ha caratterizzato l’intero comparto universitario.

Le donne che si laureano in materie STEM, inoltre, lo fanno con risultati migliori: presentano un voto medio di laurea più alto (103,6 su 110, contro 101,6 degli uomini) e mostrano una maggiore regolarità negli studi. Nel 2017 tra le ragazze il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini.

E dopo la laurea?
Il Rapporto 2018 di AlmaLaurea sugli esiti occupazionali, ripreso nella fotografia di StartupItalia, presenta una sintesi sui laureati STEM di secondo livello (magistrali biennali e magistrali a ciclo unico) nel corso dell’anno accademico 2011-2012, intervistati nel 2017 a cinque anni dal titolo. Il tasso di occupazione è complessivamente pari all’89,3% (+4,1 punti percentuali rispetto ai laureati non STEM). Tra gli uomini è pari al 92,5%, contro l’85% delle donne.

Tra questi, i contratti di lavoro a tempo indeterminato caratterizzano il 55,6%, ma anche in questo caso il gap di genere è ampio: 62,5% contro 45,1% rispettivamente per uomini e donne. A questo si aggiunge il fatto che, a cinque anni dal conseguimento dei titolo, i laureati maschi dichiarano, in media, di guadagnare 1.699 euro mensili contro 1.375 euro delle donne. La ragione? In parte questo divario è dovuto a una quota importante di laureati occupati a tempo parziale. Il 16% delle laureate STEM lavora part-time contro il 4,7% degli uomini.

Una fotografia del panorama europeo
Il confronto con l’Estero non è lusinghiero per il nostro Paese, anche se in realtà il divario rispetto alla media europea riguarda più i maschi che le femmine: abbiamo infatti poco più di 15 laureati STEM tra i 20 e i 29 anni ogni 1000 residenti e circa 12 donne (dati Eurostat relativi al 2015). Siamo di fatto fra i paesi con il minor numero di laureati in materie scientifiche, oltre che in coda alla classifica per donne con questo titolo di studio.

Certo, non che in Europa non vi sia un gender gap generalizzato. La media UE è di circa 25 giovani uomini laureati STEM ogni 1000 abitanti e meno di 15 donne con lo stesso titolo.

“I dati che sono emersi ci fanno riflettere sull’enorme potenzialità che non siamo ancora riuscite a cogliere – ha dichiarato Anna Gaudenzi direttrice editoriale di Startupitalia – nei prossimi anni l’obiettivo è quello di ribaltare questi numeri ed arrivare alla parità di genere tra i laureati nelle materie STEM”.

“La fotografia emersa dai dati delle laureate in materie STEM – ha dichiarato Chiara Trombetta vice direttrice editoriale di StartupItalia – fa riflettere sull’importanza di creare un nuovo modello di leadership, aiutandoci tra generazioni e professionalità anche diverse, senza “ingabbiarci” in uno stereotipo di femminilità, ma includendo quando più possibile gli uomini.”

“Le donne rischiano di perdere un’occasione storica non scegliendo di studiare le materie STEM, che sono quelle a maggior tasso di occupabilità e remunerazione. Non ci sono “predisposizioni” di genere verso le varie discipline – ha commentato Barbara Falcomer direttore generale di Valore D – e alle ragazze non le mancano certo le competenze tecnico-scientifico. Sono i condizionamenti a scuola e in famiglia che rischiano però di ridurre le loro aspirazioni e l’interesse verso le STEM. C’è bisogno quindi della collaborazione di tutti per invertire questo circolo vizioso”.

“Mi piace guardare ai segnali positivi e non solo alle statistiche e agli stereotipi” – Antonella Carù, Direttore della Scuola Superiore Universitaria dell’Università Bocconi. “Il master of science in cyber risk partito quest’anno insieme al Politecnico di Milano vede una classe al 50% femminile segnale che la realtà sta cambiando. Dobbiamo uscire dagli stereotipi e imparare a comunicare diversamente non solo il mondo delle discipline STEM ma anche le opportunità di carriera. Siamo di fronte a una generazione, la Generazione Z, che non guarda – e non deve guardare – al mondo attraverso le lenti della differenza di genere. Questa è una generazione in grado di cambiare in meglio il mondo. La trasformazione digitale ha reso i giovani più aperti e in grado di raccogliere le sfide e abbattere il soffitto di vetro che ancora schiaccia le generazioni precedenti”.

“I dati della ricerca fotografano una situazione nota e confermano quanto emerso anche dal primo Bilancio di Genere pubblicato dal Politecnico di Milano qualche mese fa – commenta Donatella Sciuto, Prorettore Vicario del Politecnico di Milano. “A un anno dal titolo magistrale meno della metà delle nostre laureate in ingegneria ha un contratto stabile (contro il 57% degli uomini). E il divario si riflette nel livello delle retribuzioni, soprattutto quelle più alte (intorno ai 3.000 euro), dove gli uomini sono il doppio esatto delle donne. A testimonianza che è difficile per le ragazze accedere alle posizioni più ambite, anche se si presentano al colloquio con voti più alti dei loro compagni. Quello che ci ostiniamo a non accettare, in Italia così come in Europa, è che la parità di genere è un elemento funzionale allo sviluppo economico e al benessere di tutti i cittadini. Stime recenti, fornite dalla Banca d’Italia, indicano come la rimozione delle barriere all’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro per le donne spieghi, negli Stati Uniti, oltre un terzo della crescita del reddito pro capite tra il 1960 e il 2010. Un’opportunità che non possiamo farci mancare”.

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