Un recente studio condotto dalla società di cybersecurity Surfshark ha analizzato le richieste di “diritto all’oblio” rivolte a Google e Microsoft Bing per la rimozione di informazioni dai risultati dei motori di ricerca.
Delle due piattaforme, la maggior parte delle richieste è stata inviata a Google. Nel 2022, l’Italia si è posizionata al 4º posto tra i principali richiedenti con quasi 12.000 richieste presentate, registrando un calo rispetto al 2021, quando erano state inviate 15.200 richieste. La maggior parte delle richieste comunque proviene dai Paesi occidentali, con Francia, Germania e Regno Unito che rappresentano più della metà di tutte le richieste di “diritto all’oblio”.
Il “diritto all’oblio” – “right to be forgotten” in inglese – consente alle persone di chiedere la rimozione delle query relative al proprio nome dalle pagine dei risultati dei motori di ricerca europei. Si applica ai Paesi coperti dal GDPR (UE e SEE) e ad altri Paesi europei che hanno adottato leggi simili, come il Regno Unito e la Svizzera. Il 2015 ha segnato il primo anno completo di attuazione della politica. Le informazioni sui richiedenti all’interno di queste pagine web variano ampiamente, da informazioni personali e professionali a collegamenti con attività criminali.
Dopo che le richieste di “diritto all’oblio” sono aumentate di quasi il 30% nel 2020 durante la pandemia di COVID-19 (raggiungendo un totale di 161.000) e hanno continuato a crescere nel 2021 a 186.000, nel 2022 sono state presentate circa 155.000 richieste, segnando un calo del quasi 20% rispetto all’anno precedente e rappresentando il primo calo dall’inizio della pandemia nel 2020. Su 32 Paesi analizzati nel 2022, 28 hanno registrato un calo delle richieste.
Secondo Lina Survila, portavoce di Surfshark, “i dati mostrano che l’interesse per il ‘diritto all’oblio’ si è stabilizzato negli ultimi anni. Curiosamente, i Paesi occidentali sono i più attivi nell’inviare richieste di ‘diritto all’oblio’, ma sembra esserci una mancanza di coinvolgimento o consapevolezza riguardo ai vantaggi forniti dal GDPR tra i restanti Paesi europei. Aumentare la comprensione pubblica di queste iniziative enfatizza il ruolo del GDPR come catalizzatore per la protezione dei diritti digitali e il miglioramento della privacy su scala globale”.
In base allo studio, nel 2022 la Francia, la Germania e il Regno Unito hanno rappresentato oltre il 50% di tutte le richieste di “diritto all’oblio”. La Francia ha presentato il numero più alto di richieste nel 2022, con un totale di 43.000, che rappresentava oltre un quarto di tutte le richieste. Germania e Regno Unito si sono classificate al 2º e 3º posto, con 24.000 e 16.000 richieste. Italia e Spagna si sono posizionate al 4º e 5º posto, con 12.000 e 11.000 richieste.
Negli ultimi dieci anni, il “diritto all’oblio” è stato esercitato nell’UE e in altri Paesi, portando alla rimozione di 6 miliardi di URL solo da Google. Durante questo periodo, i siti di social network sono stati i bersagli più comuni della rimozione, con Facebook in testa. Google ha rimosso il più alto numero di URL sensibili e di altre informazioni personali entro la fine del 2022, con il 97% e il 93% delisted, rispettivamente. Le informazioni criminali avevano un tasso di rimozione del 61%, mentre le informazioni professionali e politiche avevano tassi di rimozione inferiori.
In conclusione, l’Italia si conferma un attivo richiedente di rimozione di informazioni dai motori di ricerca, mentre i Paesi occidentali continuano ad essere i più coinvolti in questo tipo di richieste. La crescente consapevolezza e l’interesse per il “diritto all’oblio” possono svolgere un ruolo cruciale nel garantire la protezione dei diritti digitali e della privacy online.
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