Secondo la nuova ricerca Tink, il 71% dei dirigenti finanziari europei dichiara di utilizzare l’open banking per ragioni legate alla compliance normativa come prima area di investimento. Differente la situazione in Italia, in cui i maggiori investimenti sono relativi alla gestione finanziaria (53,3%), seguiti dai servizi di payment initiation (50%) e dall’automazione dei processi KYC (46,7%)
I nuovi dati resi noti oggi dalla piattaforma di open banking Tink rivelano che le istituzioni finanziarie europee continuano ad abbracciare l’innovazione guidata dall’open banking, mentre parallelamente la pandemia da Covid-19 accelera la digitalizzazione dei servizi finanziari.
Secondo una precedente indagine di Tink, le istituzioni finanziarie europee stanno investendo in media tra i 50 e i 100 milioni di euro in open banking. I nuovi dati appena rilasciati offrono un dettaglio su questa spesa, rivelando che le istituzioni finanziarie stanno dando la priorità ad investire in casi d’uso che portano valore immediato alla propria attività, migliorando l’acquisizione e l’engagement dei clienti, nonché la produttività dei dipendenti.
Il 71% dei dirigenti finanziari intervistati in tutta Europa pone i casi d’uso relativi alla compliance normativa in cima alla lista dei propri investimenti. Di questi, il 41% dà la priorità ai servizi di identità digitale, sempre il 41% all’automazione dei processi KYC (know your customer) ed il 37% al monitoraggio delle transazioni.
Al contempo, alcune istituzioni finanziarie stanno anche guardando oltre la compliance per capire come migliorare la customer experience, con il 36% che investe in servizi di gestione finanziaria, il 35% nell’automazione dei processi di onboarding ed il 33% in applicazioni multi-banking.
Differente la situazione italiana, che a quanto pare vede già oltre la compliance normativa, se non fosse per l’interesse nell’automazione dei processi KYC che conquista il terzo posto del podio (46,7%). I servizi su cui maggiormente si concentrano gli investimenti italiani sono legati al miglioramento della customer experience ed in dettaglio ai servizi di gestione finanziaria (53,3%), seguiti a ruota da quelli di Payment Initiation (50%).
È interessante notare come i servizi di Payment Initiation rappresentino la seconda maggiore area di investimento in Italia, a differenza della media europea che li vede solo settimi. Sintomo che le istituzioni finanziarie locali hanno grandi aspettative a riguardo, da un lato per via delle tante iniziative volte a contrastare il diffuso utilizzo del contante nei pagamenti, come ad esempio quello della fatturazione elettronica per imprese e partite IVA, dall’altro per la concreta possibilità di risparmiare denaro attraverso le soluzioni di Payment Initiation rispetto agli altri metodi di pagamento digitale disponibili.
In conclusione, le percentuali italiane fanno capire come nel Bel Paese ci sia una maggiore competizione tra attori che vogliono offrire la migliore esperienza digitale al proprio cliente. In effetti, la gestione finanziaria personale (PFM) è un elemento essenziale per la banca digitale ed ha spinto anche le istituzioni finanziarie tradizionali a fare investimenti significativi a riguardo per non rimanere indietro e soddisfare le aspettative dei clienti.
Il focus degli investimenti dipende dalle dimensioni e dalla maturità delle istituzioni
I dati di Tink rivelano anche che la motivazione a investire in un caso d’uso o in un altro dipende in gran parte dall’esposizione di un’azienda alle normative ma anche dalla natura della propria attività. Le dimensioni e la maturità di un’azienda sono fattori determinanti per l’area di investimento, con istituzioni più grandi come le banche tradizionali (57%) e le società di wealth management (53%) che indicano come principale settore in cui investire quello dei servizi di identità digitale.
Al contempo, le “nuove banche” (challenger banks) e i Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) sono gli unici due segmenti in cui un caso d’uso non legato alla compliance è classificato come la principale area di investimento – con le challenger banks che danno la priorità all’automazione dell’onboarding (44%) e i PSP che investono in servizi multi-banking (47%). Ciò non dovrebbe sorprendere considerando che una delle principali differenze tra le nuove banche e gli istituti tradizionali risiede proprio nell’esperienza di onboarding.
Le piccole e medie imprese (con 100-499 dipendenti) si stanno concentrando sulla semplificazione dell’esperienza del cliente, con il 54% di queste che investe nell’automazione dei processi KYC (rispetto al 29% delle istituzioni con oltre 1.000 dipendenti). D’altra parte, le grandi organizzazioni (con oltre 1.000 dipendenti) si stanno concentrando principalmente sui servizi di identità digitale (42%). Ciò è probabilmente dovuto alla diffusa crescita di SPID e alle tante iniziative messe in atto dalle banche a riguardo.
Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia, ha commentato: “Considerato che la maggior parte delle banche ha ancora tanta strada da fare per raggiungere la compliance, è comprensibile che molte istituzioni finanziarie continuino a concentrarsi su quest’area di investimento, ma siamo anche felici di constatare come in Italia si sia passati ad uno step successivo, quello per cui – prima di tutto il resto – arriva l’esperienza da assicurare al cliente. L’Italia ha già compreso come, complice il Covid che accelera il passaggio ai canali digitali, le istituzioni finanziarie abbiano l’opportunità unica di ottimizzare l’acquisizione e la fedeltà del cliente, migliorandone ulteriormente la sua esperienza. Guardando oltre la compliance normativa e investendo in casi d’uso di open banking che supportano la customer experience, gli istituti tradizionali potranno stare al passo con i loro principali competitor, come challenger banks e PSP.”
Il caso di Poste Italiane
Un buon esempio nell’utilizzo dell’open banking in Italia arriva da Poste Italiane, che sta cogliendo le opportunità della digital transformation, reinventandosi in una “platform company”, con un duplice obiettivo:
- da un lato, potenziare l’app PostePay con servizi di payment initiation per consentire ai propri utenti di ricaricare la carta prepagata trasferendo i propri fondi da una banca ad un’altra;
- dall’altro, aggregare ulteriori conti bancari nell’app di Poste per incoraggiare il cliente a gestire tutte le proprie finanze attraverso un’unica interfaccia.
Guido Crozzoli, Chief Information Officer di Poste Italiane, ha commentato a proposito
: “Poste ha lanciato il progetto ‘PSD2’ con l’idea di cogliere le opportunità offerte dalla Direttiva Europea e di assumere un ruolo proattivo, abilitando diversi casi d’uso. Abbiamo l’ambizione che i nostri canali diventino l’interfaccia preferita dei nostri clienti, attraverso cui offrire i servizi della piattaforma ecosistemica di Poste.”
Il report completo può essere scaricato QUI.