A cura di Andrea Tangredi, Co-Founder & Chief Designer Officer di Indigo.ai
Ogni volta che ci siamo chiesti se e quando l’intelligenza artificiale sarebbe stata in grado di pensare autonomamente e di ragionare come un essere umano, probabilmente, ci siamo posti la domanda nel modo sbagliato. Sappiamo già che secondo il test di Turing, chi legge un articolo di giornale o un testo qualsiasi scritto dall’intelligenza artificiale Gpt-3, l’ultimo modello di linguaggio elaborato da OpenAi, non è in grado di capire se sia frutto della creazione dell’uomo o della macchina. E adesso sappiamo che l’intelligenza artificiale è in grado di descrivere con esattezza le esperienze umane più profonde, le stesse che gli uomini faticano a catalogare con l’utilizzo della parola. Stiamo parlando delle esperienze che viviamo quando meditiamo, quando sogniamo, quando assumiamo delle sostanze stupefacenti. Abbiamo provato a condurre un esperimento con l’AI di Gpt-2, la versione precedente e meno potente di Gpt-3: le abbiamo chiesto di studiare le registrazioni delle esperienze vissute da 20.000 persone in un momento di coscienza alterato. Il risultato è stato sorprendente perché l’intelligenza artificiale è riuscita a dare la capacità “all’uomo delle caverne di spiegare cosa ha visto nel centro di Manhattan”, per parafrasare un’espressione di Bill Richards.
All’AI non serve una coscienza
La descrizione degli stati di coscienza alterati è da sempre molto difficile per l’essere umano, che ricorre a metafore, analogie, spesso non trova le parole giuste. Ma l’intelligenza artificiale è stata in grado di studiare e replicare le descrizioni di queste esperienze, come se fosse essa stessa in uno stato di coscienza alterato: come se stesse sognando, meditando, o se avesse assunto sostanze stupefacenti. E improvvisamente pensieri distribuiti in ordine sparso, frammenti di frasi e parole registrate in ordine casuale hanno preso una forma ben definita. Per esempio, l’algoritmo ha spiegato che una delle esperienze vissute è stata quella di “vedere galassie, buchi neri… stelle che esplodevano… potevo parlare il linguaggio naturale del cosmo. Non ero in grado di capire pienamente che questo stato in cui mi trovavo era un’allucinazione”.
Insomma, l’intelligenza artificiale è oggi in grado di comprendere e spiegare esperienze per noi ancora incomunicabili. Uno scenario completamente inaspettato che ribalta anche i rapporti tra la macchina e l’uomo: dall’avvento delle intelligenze artificiali ci siamo sempre chiesti se prima o poi la macchina avrà una coscienza di sé – perché solo così, forse, riusciamo a considerarla davvero al pari dell’umano. Un po’ come nei film: come Samantha, il sistema operativo provvisto di intelligenza artificiale con la voce di Scarlett Johansson di cui si innamora Theodore Twombly (interpretato da Joaquin Phoenix) in Her. Tuttavia… se l’algoritmo è in grado di aiutarci a spiegare cose che noi neppure riusciamo a mettere a fuoco, è davvero importante che sia cosciente? È davvero importante che sia in grado di ragionare come noi? O è sufficiente che sappia interpretare e replicare come noi ragioniamo?
L’intelligenza (al singolare) non esiste
Probabilmente abbiamo bisogno di fare un passo indietro e capire il significato profondo che si cela nei risultati di questi esperimenti sulla capacità di comprensione dell’intelligenza artificiale. Dobbiamo sforzarci di ragionare su quella che è la nostra concezione stessa di intelligenza, che è antropocentrica, ovvero basata su un modello umano. Ma coinvolgendo le macchine e creando un altro tipo di intelligenza, stiamo di fatto allargando lo spettro del possibile: forse dobbiamo cambiare punto di vista e iniziare a parlare di intelligenze al plurale.
Siamo quindi convinti che se oggi l’AI non può essere paragonata a quella umana, poco importa: l’AI ci dà la possibilità di costruire grandi basi di conoscenza, di descrivere esperienze per noi quasi incomprensibili, di perfezionare la nostra stessa intelligenza, compiendo quel passetto in più che da soli non saremmo in grado di fare. L’intelligenza artificiale potenzia le nostre capacità. Sta a noi guidarla nella giusta direzione perché diventi uno strumento al servizio dell’umanità.