Nel 2021 volano a +40% le assunzioni completamente da remoto.
Boom di posizioni tech in aziende di medie dimensioni, ma soprattutto nei grandi gruppi industriali.
E i talenti in cerca di maggiore stabilità preferiscono le multinazionali alle startup (per ora)
Non solo smartworking. I cambiamenti che la pandemia ha portato al mondo del lavoro – di cui lo smartworking rappresenta solo la più visibile “punta dell’iceberg” – sono in realtà molto più profondi e strutturali, e, in alcuni casi, possono rappresentare delle significative inversioni di tendenza rispetto ai più consolidati modelli italiani, come la forte localizzazione del lavoro (nelle città e in senso lato) e la bassa digitalizzazione delle aziende tradizionali.
Questo, in sintesi, quanto emerge da una ricerca di Oliver James, recruiting firm di nuova generazione che ha sviluppato un approccio alla ricerca del personale che mette al centro persone e dati, che ha analizzato i primi sei mesi del “lavoro” nel 2021 e ha messo in evidenza tre trend dominanti in totale rottura con il pre-pandemia: un aumento esponenziale delle assunzioni interamente da remoto (+40%), un boom di posizioni tech in aziende di medie dimensioni, ma soprattutto nei grandi gruppi industriali – dettati da progetti a lungo termine di trasformazione digitale, e una ritrovata attrattività delle aziende multinazionali e di consulenza, che rispetto alle startup hanno sofferto meno la situazione di incertezza e instabilità degli ultimi mesi.
Il lavoro innanzitutto, non è quindi più solo smart, ma remote: “Il termine smartworking è riduttivo per descrivere un fenomeno di lavoro agile di più ampia portata, che non avevamo mai osservato prima: nei primi sei mesi del 2021 abbiamo osservato un aumento di circa il 40% per le assunzioni totalmente da remoto, che significa, di fatto, che le aziende italiane sono pronte potenzialmente per assumere talenti in qualsiasi parte del mondo, una volta superato anche l’ostacolo linguistico – commenta Pietro Novelli, Country Manager Italia di Oliver James – Come sempre, le aziende digitali sono quelle più pronte ad implementare il cambiamento, ma anche le aziende più tradizionali si stanno adattando velocemente pur di restare competitive: abbiamo casi di clienti, prevalentemente aziende tecnologiche, che sono passati dal 10% al 90% di dipendenti da remoto in un biennio. Non è solo un trend, ma un’inversione di tendenza che può avere impatti che coinvolgono le città e le economie: da un certo punto di vista noi stiamo già osservando, di fatto, una “redistribuzione” delle opportunità su tutto il territorio italiano da un lato, e una apertura al mercato internazionale dall’altro”.
Una trasformazione che si riflette anche sull’infrastruttura “tecnologica” del Paese, tanto che – ed è questa la seconda grande novità dei primi sei mesi del 2021 – i gruppi industriali e manifatturieri tradizionali stanno a loro volta diventando aziende “tech”: “Abbiamo gestito circa 250 posizioni in ambito tech dall’inizio del 2021, +35% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e questo aumento è dovuto ai piani industriali dei grossi gruppi tradizionali, dall’edile al navale, che prevedono processi di trasformazione digitale significativi e di lungo periodo”, spiega ancora Novelli.
Infine, una ritrovata attrattività delle società multinazionali e di consulenza, che nel periodo pandemico hanno recuperato “terreno” nell’attrarre talenti rispetto alle startup: “Le startup rimangono particolarmente attrattive per i talenti digitali e tecnologici, specie per i più giovani. Ma la pandemia ha ribilanciato la situazione, valorizzando la maggiore stabilità offerta dalle aziende più grandi di fronte a una situazione di incertezza – conclude Pietro Novelli, Country Manager per l’Italia di Oliver James, che però avvisa – le startup, tutto sommato, hanno retto il colpo: abbiamo avuto diversi talenti in uscita verso situazioni più stabili, ma la tendenza sembra già pronta ad invertirsi di nuovo una volta superato completamente il periodo pandemico”