Il fenomeno dei resi in aumento esponenziale conduce all’aumento delle emissioni e delle spese per le aziende di E-commerce. Cinque consigli per ottimizzare e impattare positivamente sul fenomenoA cura di Gianluca Sacchi, Head of Consumer Goods & Retail di BearingPoint Italia
In Germania, solo nel 2021, sono stati rispediti dai clienti alla casa madre circa 440 milioni di capi d’abbigliamento, un terzo dei quali riconducibile ad acquisti gestiti sul noto sito di E-commerce Zalando. Anche se tecnicamente si tratta di semplici “resi”, ovvero capi che acquistiamo su Internet ma per vari motivi decidiamo di restituire, in realtà questa pratica nasconde un fenomeno ben diverso e preoccupante. Negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla pandemia, l’aumento delle vendite E-commerce ha implicato la crescita della pratica del wardrobing: una tipologia di reso fraudolento che consiste nell’acquistare un bene – come per esempio un capo di abbigliamento o un accessorio – utilizzarlo una o più volte e solo dopo effettuare il reso per ottenere il rimborso totale.
Wardrobing: quanto è diffuso?
Una ricerca di Mintel riportata da Bloomberg rivela per esempio che 1 consumatore su 5 nel Regno Unito effettuerebbe wardrobing: anche solo da questo dato è possibile intuire la portata di questo fenomeno. Secondo un altro sondaggio, condotto da ReBOUND su 2.000 acquirenti e 200 venditori sempre nel Regno Unito, la generazione dei Millennials sarebbe quella che tenderebbe maggiormente a questo tipo di pratica: il 21% degli intervistati, infatti, ha ammesso di restituire i prodotti già utilizzati.
È chiaro che questo uso della possibilità di rendere un prodotto e venirne rimborsati è quantomeno improprio: la legge consente agli utenti di rendere un prodotto intatto entro 14 giorni dalla ricezione dello stesso. Ma quanti resi può gestire un e-commerce prima che diventi insostenibile?
Il reso gratuito ha un impatto negativo sui negozi online?
La risposta, purtroppo, è sì. In generale, quello dei resi diffusi è un vero e proprio Armageddon per le aziende di e-commerce. Si pensi che il fenomeno incide in particolare nei paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti, dove il commercio elettronico è molto più esteso che in Italia; tuttavia sta crescendo anche da noi, a fronte di un costante sviluppo del comparto. Se in Italia il tasso dei resi (return rate) sul fashion è il 12%, nel Nord Europa supera il 20% (studio condotto da PaymentsJournal).
Il reso “selvaggio” ha un peso sulla sostenibilità dell’E-commerce: costi e impatti sono sei volte superiori rispetto al primo invio di una merce perché nel caso dei resi non si riesce a ottimizzare la linea di distribuzione. Tutto questo ha un carbon footprint molto pesante. A livello economico, poi, la crescente diffusione della pratica di wardrobing mette in sofferenza le aziende perché il margine si va a erodere. Senza contare che i capi resi devono spesso essere ristirati, igienizzati o altro.
La questione è complessa, perché se da un lato chi ha un negozio e-commerce e permette il reso gratuito va incontro a queste difficoltà, dall’altro è pur vero che nell’era del modello Amazon, le pratiche di reso gratuito sono doverose per competere sul mercato. Il cliente si aspetta costi di spedizione azzerati, refund immediato e qualcuno che passi a prendere il pacco a casa, tutto chiaro e facilmente visibile con un customer service veloce e snello.
Dal reso al rifiuto: un passo troppo breve
Tutto questo si traduce per le aziende di e-commerce in una vertiginosa crescita dei costi, una richiesta di stock maggiori e un aumento esponenziale dei rework: dalla spedizione alle lavorazioni. Per questo, spesso, le aziende decidono di disfarsi dei capi resi buttandoli, incenerendoli o donandoli. Secondo un’analisi di mercato dell’associazione di categoria Handlerbund quasi 1 reso su 5 riguarda vestiti danneggiati o già indossati e il 44% dei beni non può essere rimesso in vendita al prezzo iniziale. Per un gruppo di ricerca dell’università tedesca di Bamberga, che studia la gestione dei resi, i capi restituiti che finiscono direttamente agli inceneritori sono circa 20 milioni all’anno.
Arginare il fenomeno dei resi: 5 consigli per gli e-commerce
La situazione è preoccupante per i retailer che gestiscono anche canali e-commerce, ma non è del tutto fuori controllo; noi di BearingPoint dialoghiamo quotidianamente con queste imprese e abbiamo studiato il fenomeno: abbiamo notato che ci sono molte azioni che si possono intraprendere per fare in modo che gli utenti ricorrano sempre meno il servizio del reso, o quantomeno lo usino in modo più consapevole.
Queste sono alcune tra le più semplici soluzioni che un’azienda può mettere in campo:
- Lavorare sui dati, che racchiudono tantissime informazioni sui propri utenti: raccoglierli e studiarli può facilitare la comprensione dei driver che favoriscono il fenomeno dei resi. Ad àesempio, se gli utenti di un e-commerce comprano spesso più taglie di un singolo prodotto e poi le rendono, probabilmente ci sarà semplicemente bisogno di rendere più chiara la guida alle taglie. O ancora, se un utente tende a restituire sempre dei capi visibilmente usati, si può pensare di mettere un tetto al numero di resi disponibili annualmente.
- Potrebbe essere utile appoggiarsi su nuove tecnologie come realtà aumentata e virtuale che consentono di provare i capi a distanza. Il Virtual Try On è già realtà e consiste nel provare un prodotto senza disporne fisicamente, indossando un modello 3D virtuale sul display del proprio smartphone, per configurarlo grazie all’interfaccia di un’applicazione in realtà aumentata.
- Un altro passo importante è aumentare la conoscenza dei propri clienti: non soltanto studiando i loro dati di navigazione, ma anche dialogando con loro direttamente attraverso delle survey mirate e semplici
- È utile inoltre informare i clienti su cosa comporta un reso a livello pratico: questo perché un cliente affezionato al brand e attento all’ambiente potrebbe scegliere di evitare di compiere questa azione e magari regalare quel capo in più o rivenderlo sulle piattaforme apposite.
- Cosa fa il mercato, cosa fanno gli altri? Come sempre, è fondamentale guardarsi intorno e mutuare le best practice altrui. Ad esempio, in UK il noto brand H&M ha iniziato a chiedere un costo di 1,99 sterline su ogni reso per tentare di arginare il fenomeno.
Questi sono solo alcuni esempi di quello che può fare un negozio e-commerce per attenuare il ricorso ai resi e fare la sua parte non solo per rendere la propria azienda più sostenibile economicamente, ma anche per agire concretamente verso una riduzione dell’impatto – purtroppo sempre più alto – del commercio online sul pianeta.