Secondo l’indagine condotta da Top Doctors® in occasione della ricorrenza che cade il 17 luglio, una persona su 2 ritiene che le emoticon rivestano un ruolo fondamentale nella creazione di connessione intellettuale e vicinanza emotiva tra due interlocutori, non sempre garantite dalla sola parola scritta
Ogni anno il 17 luglio (data scelta perché compare proprio sull’emoticon che raffigura il calendario) si festeggia il World Emoji Day, la giornata dedicata alle “faccine” che ogni giorno colorano le nostre conversazioni virtuali. In occasione della ricorrenza, Top Doctors® (www.topdoctors.it), la piattaforma online che seleziona e mette a disposizione degli utenti un panel formato dai migliori medici specialisti di tutto il mondo, ha condotto un’indagine per capire quanto gli italiani utilizzano le emoji e che importanza le stesse assumono nell’interazione digitale.
Stando ai risultati, la diffusione delle emoticon è massima: l’83% del campione le utilizza spesso o, addirittura, in ogni conversazione virtuale. Nonostante ci sia ancora qualche scettico, le emojii sono quindi ormai parte integrante delle interazioni online, al punto che, per buona parte degli interpellati, è consuetudine usarle anche nelle mail di lavoro (pur con qualche riserva).
Ma perché le utilizziamo? Se c’è anche chi lo fa per fini “pratici” – un 22% degli intervistati usa le faccine per scherzare/fare ironia e l’11% per sintetizzare un concetto velocemente – il motivo principale è aggiungere colore a una conversazione scritta, per natura neutra e senza tono. Quattro persone su 10 scelgono infatti le emoticon per trasmettere le proprie emozioni e altre 2 per dare il giusto tono a una frase altrimenti ambigua e piatta.
Viste le motivazioni per cui si sceglie di usarle, non sorprende che molti utenti valutino la propensione di un interlocutore nei propri confronti in base all’utilizzo (o non utilizzo) delle emoticon. Il 17% considera infatti freddo o distante chi non accompagna con smile e disegnini la conversazione, mentre una persona su 6 ammette che, in alcuni casi, percepisce le emoticon come indicatori dell’atteggiamento dell’altra persona, anche se molto dipende da situazione e contesto.
Insomma, le emoticon sembrano essere talmente radicate nel nostro quotidiano da essere diventate uno strumento di comunicazione alternativo in grado di trasmettere una sensazione di maggior vicinanza con l’interlocutore rispetto alla parola scritta. Per l’esatta metà degli interpellati, infatti, rivestono un ruolo importante nella creazione di una connessione intellettuale o emotiva tra due interlocutori. A questi si aggiunge un buon 33% che ritiene possano aiutare ma non siano fondamentali mentre, al contrario, solo il 17% le ritiene assolutamente inutili per questo scopo.
È possibile, quindi, ritenere le emoji un valido sostituto del linguaggio del corpo nell’interazione virtuale? In realtà, un quarto degli interpellati non è d’accordo, perché non le considera spontanee come il linguaggio non verbale, ma per il 29% il paragone funziona alla perfezione (perché permettono di esprimere umori e stati d’animo che non traspaiono dalle parole) e per il 33% parzialmente (anche se non hanno la stessa immediatezza del linguaggio del corpo).
Le percezioni degli utenti sono confermate dal parere degli esperti. “La messaggistica scritta è spesso sintetica e grammaticalmente errata, pertanto sempre più ambivalente e potenzialmente di facile equivoco. L’utilizzo della simbologia emoji serve a ridurre l’ambiguità, ad alleggerire il messaggio o a rafforzarlo, a renderlo originale e allegro. Di fatto è una comunicazione non verbale di tipo visivo che arriva immediatamente a quelle aree del cervello che si apre all’immaginario esperienziale e crea una vicinanza emotiva più forte delle parole” commenta infatti la dottoressa Elena Sorrento, psicologa di Top Doctors®, che aggiunge: “Non ci siamo inventati niente di nuovo ma solo ripreso un linguaggio dei graffiti dell’Era Paleolitica o degli antichi Egizi, che attraverso la rappresentazione di figure o simboli riuscivano a comunicare un evento e un vissuto esperienziale”.