A causa dell’emergenza sanitaria in cui tutto il Paese si è ritrovato, lo smart working è stata una delle principali soluzioni che ha consentito a molte organizzazioni di continuare a fornire i propri servizi mantenendo la loro continuità operativa (business continuity) durante i mesi di lockdown. Nonostante questa modalità di lavoro fosse presente già da diverso tempo, emerge come fino a prima dell’emergenza non fosse perfettamente riconosciuta e conosciuta, in termini di modalità di fruizione ed esecuzione.
Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali lo smart working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione del lavoro definita per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
Già prima dell’emergenza da Covid-19 lo smart working mostrava un trend in significativa crescita nel nostro paese che Osservatori.net stimava nel 2018 in circa 480.000 smart worker fino ad arrivare ai 570.000 del 2019 (+18,7%).
Lo smart working deve essere considerato un modello organizzativo che può portare vantaggi in termini di produttività e di raggiungimento degli obiettivi per le aziende e di qualità di vita per chi lo pratica. Il nuovo concetto su cui si fonda è un diverso approccio all’organizzazione del lavoro, basato principalmente su un importante cambiamento culturale; una flessibilità rispetto ad orari e luoghi di lavoro; una dotazione di strumenti tecnologici e nuovi spazi fisici.
A seguito della pandemia di Covid-19 moltissime aziende sono ricorse allo smart working, sfruttando quanto definito dal DPCM del 01/03/2020 articolo 4. La rapidità con cui si è arrivati alla chiusura pressoché totale del territorio ha trovato le aziende in tre differenti situazioni: chi già prevedeva questa pratica per i propri lavoratori ha semplicemente continuato a consentirla e istituirla obbligatoria per tutti; chi stava valutando di adottarla ha accelerato le pratiche e gli interventi tecnologici necessari e, infine, chi non aveva ancora valutato la possibilità di adottarla ha dovuto accelerare tutti i processi in maniera esponenziale al fine di adattarsi velocemente alla situazione.
L’emergenza sanitaria ha messo in luce come questo strumento, definito dalla legge 81 del 22 maggio 2017, sia in realtà un’ottima soluzione per gestire la continuità operativa. Tuttavia, le soluzioni attuate in questo periodo, non permettono di usufruire dell’attivazione di tutti i principi e delle leve su cui si basa la nuova organizzazione del lavoro, venendo meno anche i benefici che derivano dall’applicazione dello smart working. Tali benefici possono essere, ad esempio, la riduzione dei costi di trasferta, la riprogettazione (riduzione) degli spazi di lavoro, una maggiore qualità del servizio in termini di tecnologia e innovazione, la soddisfazione dei dipendenti che riescono a bilanciare meglio il rapporto tra vita professionale e vita privata. E, infine, un altro importante elemento è il minore impatto ambientale: minori spostamenti significano minori emissioni di CO2.
Le aziende che hanno approcciato lo smart working in quest’ultimo periodo desideravano, in primis, di avere chiarimenti in merito a questa nuova modalità di lavoro. È quanto emerge dalle parole di Sabrina Bruschi, Business Unit Manager della divisione Business Assurance di TÜV Italia, che a questo proposito afferma: “Negli scorsi mesi ci sono pervenute diverse richieste da parte di differenti interlocutori che chiedevano di comprendere meglio in cosa consistesse realmente lo smart working, le modalità per verificare lo stato di avanzamento delle attività, come attuare il controllo dei processi e come verificare il raggiungimento degli obiettivi dell’anno in corso, seppure con gli evidenti ritardi dovuti alla situazione contingente e con le risorse a casa”.
Se da un lato vanno tenuti in considerazione i dubbi delle aziende, che si sono ritrovate a dover riprogettare le attività con una differente modalità organizzativa, dall’altro sono un punto fondamentale anche le considerazioni dei dipendenti, che si sono dovuti confrontare con nuove regole, spesso completamente sconosciute o non comunicate.
A questo proposito Sabrina Bruschi aggiunge: ”Anche da parte dei dipendenti sono emersi dubbi più che legittimi, connessi principalmente alle modalità del lavoro da casa, su come conciliare tempi lavorativi ed esigenze familiari e sulle possibilità future di utilizzo dello smart working”,
Visto che l’esigenza principale, sia da parte del management che del personale delle aziende era la necessità di chiarimenti, TÜV Italia ha intervistato dipendenti, manager, direttori delle risorse umane e imprenditori, da cui è emerso come lo smart working avviato in questa situazione emergenziale non rappresenti quello che andrebbe attuato in condizioni di normalità.
Per fornire alle aziende interessate una visione chiara e precisa dell’attività di smart working presso la loro realtà, TÜV Italia ha messo a punto un servizio di assessment che ha l’obiettivo di valutare lo stato attuale dell’applicazione dello smart working rispetto alla legge (AS IS), che definisce quello che dovrebbe essere attuato (TO BE), attraverso l’individuazione di punti di forza, punti di debolezza ed eventuali aree di miglioramento future (Remediation Plan).
Il servizio parte con interviste ai manager che gestiscono le risorse con l’obiettivo di analizzare il modello di leadership presente in azienda. Successivamente viene strutturato un questionario da somministrare a due/tre diversi livelli del personale: manager, eventuali dipendenti che già utilizzavano lo smart working (se presenti) e dipendenti che hanno iniziato a utilizzare lo smart working a seguito dell’emergenza sanitaria COVID-19.
“Attraverso l’analisi dei questionari – prosegue Sabrina Bruschi – è possibile definire le strategie da proporre alle aziende da mettere in atto nel breve, medio e lungo periodo, consentendo loro di scegliere le modalità di gestione della compliance da implementare e di procedere con una riorganizzazione del lavoro, non più basato sugli orari e sulla presenza costante in ufficio ma su obiettivi misurabili. Dai risultati emersi dall’assessment le aziende possono avviare un percorso di cambiamento, per rispondere a quelle esigenze organizzative, di governance e tecnologiche che sono i principi su cui si basa il lavoro agile.”
Il progetto, per rispettare il distanziamento sociale, può essere svolto da remoto e il coinvolgimento delle persone è molto limitato.
Le competenze che TÜV Italia mette a disposizione in questa attività non riguardano solo aspetti di compliance e governance (Regolamenti, accordi individuali e policy aziendali), ma anche quelli operativi. La formazione ed il coordinamento delle risorse è fondamentale per questo cambiamento organizzativo e culturale per consentire alle aziende di essere consapevoli e pronte per l’attività lavorativa di domani, valorizzando il proprio capitale umano.