In tempi difficili, meglio essere flessibili riguardo al futuro

by Redazione TecnoGazzetta

Marco Urciuoli, Country Manager per l’Italia di F5

, riflette come in questo scenario, con le organizzazioni che stanno cercando di trovare un punto di incontro tra modernizzazione e ottimizzazione delle applicazioni, tenendo sotto controllo i costi, senza compromettere la sicurezza, sia importante abbracciare la flessibilità pragmatica, con un approccio diverso a seconda delle situazioni. Nella maggior parte dei casi, è molto meglio sviluppare sistemi che siano agnostici rispetto al ritmo e alla forma della trasformazione, piuttosto che dipendere dall’evoluzione delle cose in una direzione fissa.

A cura di Marco Urciuoli, Country Manager per l’Italia di F5

Marco Urciuoli, Country Manager per l’Italia di F5

Lo scenario economico in cui operiamo oggi è molto diverso da quello di un anno fa, non è un segreto.

Con i budget che si sono ridotti praticamente in tutti i settori, ogni linea di spesa deve essere giustificata e dimostrare che contribuirà, senza ombra di dubbio, ad aumentare i ricavi o controllare i costi.

Tuttavia, anche in tempi di crisi economica, la necessità di trasformazione digitale non viene meno. Il panorama delle minacce informatiche continua a crescere e a diventare più sofisticato, mentre i provider di cloud pubblico evolvono continuamente le loro offerte. Allo stesso tempo, le opportunità in aree come l’automazione stanno diventando sempre più evidenti. Ovunque si guardi, il ritmo del cambiamento continua ad aumentare e rimanere fermi non è più un’opzione.

In questo contesto, tutti i clienti con cui ci relazioniamo oggi stanno cercando di trovare un punto di incontro tra modernizzazione e ottimizzazione delle applicazioni, tenendo sotto controllo i costi, senza compromettere la sicurezza. Ogni cliente, inoltre, è diverso dall’altro, e il percorso che ciascuno intraprenderà per raggiungere il proprio obiettivo è unico.

Per alcuni, ad esempio, si tratta di abbracciare soluzioni SaaS che possono essere utilizzate in modo flessibile, come e quando necessario, senza il costoso onere di capitale di esercizio di sistemi hardware pesanti. Si tratta di un’opzione particolarmente interessante se si considera la carenza globale di semiconduttori e l’aumento del costo dell’hardware. Ma non sarà quella che funzionerà per tutti. Alcuni preferiscono la certezza di una quantità confermata di throughput, o il tipo di funzionalità che possono essere fornite solo da soluzioni hardware, che si tratti di decodifica e crittografia SSL o di conformità FIPS.

Flessibilità pragmatica

La realtà, per molti, è una via di mezzo, con applicazioni che vanno dall’hardware al software, dalle componenti legacy a quelle moderne, dall’on-premises al cloud. Solitamente ci sono buone ragioni per cui l’infrastruttura di un’azienda si è sviluppata in questo modo, come i requisiti normativi o le esigenze specifiche di governance. Una strategia di trasformazione digitale deve tenerne conto. Ho lavorato con aziende che progettavano di spostare tutte le applicazioni nel cloud ma che, a distanza di anni, non hanno migrato nemmeno un workload a causa di problemi di sicurezza e di governance. Per non parlare dei costi che comporta una ri-architettura di così tante applicazioni in una volta sola. Piani audaci e grandi ambizioni non sono di certo da frenare, ma il programma di trasformazione che funziona davvero è quello che sopravvive al contatto con la realtà.

Per la maggior parte delle aziende e delle organizzazioni governative sarà meglio adottare un approccio pragmatico, che tenga conto delle infrastrutture esistenti e dei requisiti del settore e dei clienti. Anche in questo caso, l’approccio sarà diverso a seconda delle situazioni.

In alcuni casi, rivedere un intero parco applicativo per farlo funzionare nel cloud o come microservizi è difficile e potenzialmente controproducente. In realtà, bisogna controllare ciò che può essere facilmente controllato.

Un modo efficace di procedere è quello di mirare a un unico punto di visibilità e controllo, in modo da poter fornire servizi a ogni applicazione, indipendentemente dalla modalità con cui viene eseguita e da dove viene archiviata. Questo garantisce anche la continuità delle policy di sicurezza nel caso in cui le applicazioni vengano migrate in un momento (imprecisato) del futuro. Nella maggior parte dei casi, è molto meglio sviluppare sistemi che siano agnostici rispetto al ritmo e alla forma della trasformazione, piuttosto che dipendere dall’evoluzione delle cose in una direzione fissa.

Un’altra considerazione riguarda l’opportunità di utilizzare la tecnologia per ridurre i costi, compresa l’automazione. Il supporto delle moderne architetture su scala richiede competenze specialistiche, che oggi scarseggiano. Per questo motivo esiste un numero crescente di strumenti di automazione e orchestrazione che possono essere utilizzati a beneficio aziendale, per evitare l’assunzione di un gran numero di risorse. Il giusto investimento in tecnologia può tradursi in un risparmio di costi su tutta la linea.

Infine, i responsabili IT devono tracciare il proprio percorso, ovvero la strada che dia loro la possibilità di modernizzare le infrastrutture applicative, la flessibilità di farlo in modo iterativo e la capacità di controllare i costi.

Non esiste un unico modo per raggiungere tutto questo e, vale la pena ripeterlo, l’approccio giusto per ogni azienda varierà a seconda del punto di partenza e delle circostanze specifiche. Allo stesso tempo, ci troviamo tutti di fronte a una realtà comune, ovvero quella di lavorare in un ambiente volatile. Le aziende devono mantenere una certa flessibilità nell’evoluzione del proprio parco applicativo. In altre parole, devono essere in grado di pianificare il successo lungo più strade, senza scommettere su un unico percorso di trasformazione. La resilienza deriva proprio dalla capacità di mantenere aperte tutte le opzioni, dalla disciplina sui costi e dall’evitare di diventare ostaggio della fortuna.

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