Cinque consigli per ottimizzare il processo di restituzione e fare felici consumatori e aziende di Gianluca Sacchi, Head of Consumer Goods & Retail di BearingPoint Italia
Durante la settimana del Black Friday dell’anno scorso, in Italia, gli acquirenti hanno speso online 2 miliardi di euro, generando solo in quei giorni circa il 4% della spesa digitale di tutto il 2022 (fonte: Osservatorio eCommerce B2c 2022, Netcomm – Politecnico di Milano). E quest’anno non sarà da meno se consideriamo che in generale il mercato degli acquisti online ha già subito un fortissimo incremento: stando ai dati del Politecnico, a fine ottobre 2023 gli acquisti e-commerce degli italiani valevano 54,2 miliardi di euro, vale a dire il 13% in più rispetto al 2022. Le previsioni sul Black Friday sono ancora variabili, ma tutte rivelano che sarà una settimana di grande successo.
Insomma, sembrerebbe che il Black Friday resti l’occasione più redditizia dell’anno: ma è davvero così? Se da un lato certamente è un periodo in cui le vendite si moltiplicano, dall’altro è anche vero che questi calcoli non tengono conto del fenomeno, sempre più dilagante, dei resi.
Il reso gratuito ha un impatto negativo sui negozi online?
La risposta, purtroppo, è sì. In generale, quello dei resi diffusi è un vero e proprio Armageddon per le aziende di e-commerce. Si pensi che il fenomeno incide in particolare nei paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti, dove il commercio elettronico è molto più esteso che in Italia: ad esempio In Germania, solo nel 2021, sono stati rispediti dai clienti alla casa madre circa 440 milioni di capi d’abbigliamento, un terzo dei quali riconducibile ad acquisti gestiti sul noto sito di e-commerce Zalando.
Tuttavia sta crescendo anche da noi, a fronte di un costante sviluppo del comparto. Se in Italia il tasso dei resi (return rate) sul fashion è il 12%, nel Nord Europa supera il 20% (studio condotto da PaymentsJournal).
Il reso “selvaggio” ha un peso sulla sostenibilità dell’E-commerce: costi e impatti sono sei volte superiori rispetto al primo invio di una merce perché nel caso dei resi non si riesce a ottimizzare la linea di distribuzione. Tutto questo ha un carbon footprint molto pesante. A livello economico, poi, la crescente diffusione della pratica di wardrobing mette in sofferenza le aziende perché il margine si va a erodere. Senza contare che i capi resi devono spesso essere ristirati, igienizzati o altro.
La questione è complessa, perché se da un lato chi ha un negozio e-commerce e permette il reso gratuito va incontro a queste difficoltà, dall’altro è pur vero che nell’era del modello Amazon, le pratiche di reso gratuito sono doverose per competere sul mercato. Il cliente si aspetta costi di spedizione azzerati, refund immediato e qualcuno che passi a prendere il pacco a casa, tutto chiaro e facilmente visibile con un customer service veloce e snello.
Dal reso al rifiuto: un passo troppo breve
Tutto questo si traduce per le aziende di e-commerce in una vertiginosa crescita dei costi, una richiesta di stock maggiori e un aumento esponenziale dei rework: dalla spedizione alle lavorazioni. Per questo, spesso, le aziende decidono di disfarsi dei capi resi buttandoli, incenerendoli o donandoli. Secondo un’analisi di mercato dell’associazione di categoria Handlerbund quasi 1 reso su 5 riguarda vestiti danneggiati o già indossati e il 44% dei beni non può essere rimesso in vendita al prezzo iniziale. Per un gruppo di ricerca dell’università tedesca di Bamberga, che studia la gestione dei resi, i capi restituiti che finiscono direttamente agli inceneritori sono circa 20 milioni all’anno.
Arginare il fenomeno dei resi: 5 consigli per gli e-commerce
La situazione è preoccupante per i retailer che gestiscono anche canali e-commerce, ma non è del tutto fuori controllo; noi di BearingPoint dialoghiamo quotidianamente con queste imprese e abbiamo studiato il fenomeno: abbiamo notato che ci sono molte azioni che si possono intraprendere – in occasione del Black Friday ma anche tutto l’anno – per fare in modo che gli utenti ricorrano sempre meno al servizio del reso, o quantomeno lo usino in modo più consapevole.
Queste sono alcune tra le più semplici soluzioni che un’azienda può mettere in campo:
- Lavorare sui dati, che racchiudono tantissime informazioni sui propri utenti: raccoglierli e studiarli può facilitare la comprensione dei driver che favoriscono il fenomeno dei resi. Ad esempio, se gli utenti di un e-commerce comprano spesso più taglie di un singolo prodotto e poi le rendono, probabilmente ci sarà semplicemente bisogno di rendere più chiara la guida alle taglie. O ancora, se un utente tende a restituire sempre dei capi visibilmente usati, si può pensare di mettere un tetto al numero di resi disponibili annualmente.
- Potrebbe essere utile appoggiarsi su nuove tecnologie come realtà aumentata e virtuale che consentono di provare i capi a distanza. Il Virtual Try On è già realtà e consiste nel provare un prodotto senza disporne fisicamente, indossando un modello 3D virtuale sul display del proprio smartphone, per configurarlo grazie all’interfaccia di un’applicazione in realtà aumentata.
- Un altro passo importante è aumentare la conoscenza dei propri clienti: non soltanto studiando i loro dati di navigazione, ma anche dialogando con loro direttamente attraverso delle survey mirate e semplici
- È utile inoltre informare i clienti su cosa comporta un reso a livello pratico: questo perché un cliente affezionato al brand e attento all’ambiente potrebbe scegliere di evitare di compiere questa azione e magari regalare quel capo in più o rivenderlo sulle piattaforme apposite.
- Cosa fa il mercato, cosa fanno gli altri? Come sempre, è fondamentale guardarsi intorno e mutuare le best practice Ad esempio, in UK il noto brand H&M ha iniziato a chiedere un costo di 1,99 sterline su ogni reso per tentare di arginare il fenomeno.
Questi sono solo alcuni esempi di quello che può fare un negozio e-commerce per attenuare il ricorso ai resi, in occasione del Black Friday e non solo, sia per rendere la propria azienda più sostenibile economicamente, sia per agire concretamente verso una riduzione dell’impatto – purtroppo sempre più alto – del commercio online sul pianeta.