Ci fideremo mai abbastanza della Pubblica Amministrazione da permetterle di usare i nostri dati?

by Redazione TecnoGazzetta

A cura di Matthew O’Neill, Industry Managing Director, Global Industry Solutions Group, VMware

Se si chiedesse ai consumatori quali sono le organizzazioni sulle quali avrebbero dei dubbi ad affidare i propri dati, le Pubbliche Amministrazioni sarebbero in testa alla classifica. Si tratta di un problema di scetticismo piuttosto consolidato dovuto al fatto che i cittadini tendono a vedere e sentire solo le notizie negative che appaiono nei titoli dei giornali (violazioni dei dati, cattivi investimenti, …) e vengono lasciate in secondo piano le cose incredibili che potremmo fare con i dati in medicina, i veicoli autonomi, nell’intrattenimento mobile, nello shopping e nella società in generale.

Questo crea un ostacolo al progresso. Come cittadini sperimentiamo quotidianamente innovazioni in ambito retail, nell’assistenza sanitaria, nei servizi finanziari e in molti altri settori, ma puntiamo spesso il dito contro la Pubblica Amministrazione perché non segue lo stesso esempio. Allo stesso tempo, però, siamo riluttanti a confidare loro i nostri dati affinché possano dare il via a un vero cambiamento: è un paradosso che le PA cercano disperatamente di risolvere.

I dati interoperabili e connessi sono una priorità assoluta

Molti governi europei hanno fatto dell’interoperabilità e della connessione dei dati una priorità assoluta. Recentemente, la Commissione Europea ha aperto la seconda serie di call per la sottomissione delle proposte  Europa Digitale. Un Programma che prevede un investimento di oltre 249 milioni di euro in diversi settori: data space, infrastruttura blockchain europea, corsi di formazione per competenze digitali avanzate, soluzioni digitali per migliorare i servizi governativi, progetti che sperimentano l’uso dell’intelligenza artificiale per combattere il crimine e strutture per la sperimentazione di questa tecnologia. Tutto questo è tuttavia mitigato dal desiderio dei Governi di mantenere i dati all’interno del Paese, o al massimo in Europa, e di non farli circolare al di fuori dei confini. Una posizione, questa, che potenzia ulteriormente la percezione dei cittadini alle conseguenze inaccettabili legate all’uso e all’abuso dei nostri dati.

Nel 2020, il Regno Unito ha pubblicato la sua strategia nazionale sui dati, con l’obiettivo di rendere più efficiente l’utilizzo dei dati da parte del governo e di migliorare i servizi pubblici sulla base di un’infrastruttura di dati adeguatamente protetta, integrata e interoperabile. In Germania, il governo federale ha lanciato un programma nazionale per modernizzare il panorama dei dati del settore pubblico. Se guardiamo allo scenario nazionale, sono arrivati proprio in questi giorni i risultati della consultazione pubblica relativa alle Linee Guida sull’apertura dei dati e il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico. L’obiettivo delle Linee Guida è fornire a tutte le amministrazioni chiare e necessarie indicazioni per gestire in modo adeguato, dalla loro entrata in vigore in avanti, la pubblicazione di Open Data.

Tuttavia, nonostante gli investimenti, l’interesse e la volontà del settore pubblico, la realizzazione di adattamenti reali a tutti i livelli della società si sta rivelando un processo molto lento.

Dimostrare fiducia con i dati

Secondo la nostra ricerca Digital Frontiers, ciò è dovuto al fatto che il prezzo del progresso è percepito ancora come troppo alto: i consumatori non sono del tutto d’accordo nel condividere i dati necessari per alimentare il cambiamento. Il 61% dei consumatori (il 49 % in Italia) ha paura o non si sente a proprio agio nel condividere i propri dati personali quotidiani per aiutare il settore pubblico e le aziende a progettare infrastrutture più intelligenti ed ecologiche, anche se questi dati vengono anonimizzati e aggregati. E solo il 13% (il 18% degli italiani) è entusiasta della prospettiva di un’ombra digitale (“digital shadow”) della città in cui vive, che potrebbe migliorare l’efficienza dell’ambiente che lo circonda. Ad esempio, un quinto delle persone è nervoso all’idea che i comuni introducano i cassonetti intelligenti. Anche la biometria divide.

È emerso inoltre che più della metà (55%, stessa percentuale dell’Italia) dei consumatori ritiene che le Istituzioni non siano chiare nell’utilizzo della tecnologia e dei servizi digitali per i cittadini. Tanto che meno di uno su cinque (19%) si fida delle Istituzioni per migliorare il “livello personale di alfabetizzazione digitale”. In Italia la percentuale addirittura diminuisce, toccando solo il 10%. Nonostante sia stato ampiamente adottato per la verifica dell’identità digitale, non c’è un chiaro consenso quando si tratta di fiducia dei consumatori nell’uso dei dati della PA: un terzo si sente a proprio agio, un terzo no e un terzo semplicemente non lo sa ancora.

Per andare avanti, qualcosa deve cambiare. Le Istituzioni devono dimostrare non solo di essere affidabili con i dati dei consumatori, ma anche che li useranno per scopi positivi, non solo per imporre più tasse o restrizioni, mentre i consumatori devono sapere cosa succede ai loro dati – la maggior parte dei quali non sono personalmente riconducibili a loro – e sentirsi sicuri che vengano gestiti in modo sicuro e sensibile.

Lo stimolo al cambiamento

Questo ci porta alla domanda cruciale: come? A differenza del settore privato, il settore pubblico non ha “concorrenti” altrettanto dirompenti che possano fornire lo stimolo per il cambiamento. L’impulso deve quindi venire dall’interno, rispondendo alle richieste dei cittadini. La ricerca ha rivelato i passi significativi che la PA e l’industria devono compiere per garantire che i consumatori siano pienamente d’accordo con il loro ruolo nella condivisione dei dati, per favorire le possibilità di un mondo digital-first. La maggioranza (59%) dei consumatori è sempre più preoccupata per la sicurezza delle proprie tracce digitali online, dato che in Italia è decisamente più basso, con il 44% che esprime preoccupazione. Tre quarti (71%) sono preoccupati per il ruolo che la tecnologia svolge nella diffusione della disinformazione – un risultato allineato anche al dato italiano pari al 69% – e solo il 10% (il 12% in Italia) dei consumatori ritiene che le aziende e le Pubbliche Amministrazioni siano sufficientemente chiari sulle tecnologie che utilizzano e su come le utilizzano.

È essenziale che la popolazione comprenda l’uso dei dati e delle nuove tecnologie per aumentare la fiducia, e le due cose non possono essere separate: la costruzione della fiducia si basa sull’aumento della comprensione per consentire alle persone di giudicare da sole ciò che è o non è degno di tale fiducia, realizzando al contempo progetti di valore con risultati tangibili. Un buon esempio di come il progresso digitale nel settore pubblico stia funzionando è la connettività nelle aree rurali, una questione divenuta sempre più cruciale da quando la mobilità sociale è diventata un barometro economico importantissimo. Nel Regno Unito, la campagna governativa “Leveling Up” si basa proprio sulla capacità di connettere le persone lontano dai grandi centri urbani, mentre in Italia il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) destina 6,7 miliardi di euro per i progetti che costituiscono la Strategia per la Banda Ultralarga. Dalla nostra ricerca è emerso che il 70% dei consumatori (il 73% in Italia) concorda sul fatto che la connettività nelle aree rurali deve migliorare perché un Paese possa considerarsi veramente digitale.

Riprogettazione delle organizzazioni del settore pubblico

Dal miglioramento dell’assistenza sanitaria alla creazione di reti energetiche più efficaci, dalla riduzione dei costi dei servizi pubblici allo sviluppo di un ambiente più sostenibile per tutti, i dati utilizzati in modo appropriato possono essere una forza immensamente potente per il cambiamento. Tuttavia, se confrontati con l’agenda delle notizie sui tempi di attesa record dei pazienti, i prezzi dell’energia alle stelle, la pressione sul costo della vita e i progetti governativi fermi, è facile capire dove sia la discrepanza.

Allo stato attuale, la sfiducia nei confronti dei dati ha raggiunto un punto tale da ostacolare il sostegno al potenziale della tecnologia di agire come forza per il bene e questo deve cambiare. Per creare un ciclo perpetuo di cambiamento e miglioramento attraverso i dati dei cittadini, il settore pubblico deve almeno iniziare a immettersi e muoversi nella giusta direzione. Non si tratta di piccoli cambiamenti, ma di riprogettare il modo in cui il settore pubblico gestisce i dati.

 

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